GIANNI DE TORA |
CARTELLE /mostre collettive |
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1983 "Exempla Campana - ovvero pittura come" Galleria A come Arte, Napoli 21 giugno 5 luglio |
ARTICOLO DI ELA CAROLI SU “L'UNITA'” DEL 1° LUGLIO 1983 |
Alla Galleria ''A come Arte'' si chiude la mostra ''Pittura, come?'' Si concude alla galleria ''A come Arte'' di Franca Mangoni, in vico Ischitella - Riviera di Chiaia - l'attività espositiva di quest'anno, con la mostra ''Exempla Campana - ovvero pittura come?''.Il punto interrogativo vuole indicare l'ipotesi aperta, la proposta, l'invito a verificare attraverso degli ''exempla'' una delle strade della ricerca pittorica in Campania. Non si vuole affermare, glorificandola, la felicità o la fertilità della produzione attuale, né far constatare lo stato di ''disordine'' o di ''catastrofe'' in cui annegherebbero gli artisti: questa è solo una piccola rassegna uscita da una ricognizione sul territorio, e precisamente nell' area Napoli - Caserta - Salerno, che presenta cinque personalità di artisti-ricercatori e le loro opere, che costituiscono appunto gli ''exempla''. Sergio Vecchio, nato all'ombra dei templi dorici di Cerere o Nettuno, recupera proprio nell'area di Paestum le sue origini e il suo patrimonio culturale di autentico figlio della Magna Grecia. I suoi ''reperti'' sono il frutto di una passione romantica per il frammento, attraverso il quale la fantasia ricostituisce una realtà lontana, antica, popolata di miti e di certezze. La pietra affrescata, con le vaste lacune, porosa e smussata, è testimonianza, è memoria rivissuta. Altri ''reperti'', di carattere ben diverso, ci presenta Gloria Pastore: sono memorie private, delicate, perfino banali, ma accostate assieme sugli asciugamani di lino del corredo formano delle sequenze di immagini, sogni struggenti, racconti di un'intimità violata e consumata, fermata negli appunti assieme a frammenti di pellicole, di cartoline, di partiture musicali. Assolutamente ''metropolitano'', violento e veloce, il lavoro di Antonello Tagliaferro sulla scrittura, che si riduce a una frustata, a un lampeggiare di luci e di colori incredibilmente ''artificiali'' abbaglianti e freddi, come una strada di città, di notte, vista da un motociclista in corsa. Peppe Ferraro, artista di Marcianise, dopo il recupero ''dialettale'' del lavoro della sua terra, la coltivazione della canapa, si addentra in un mondo di favole e di simboli, colorato di tinte vive e fresche come i sogni dei bambini e con tocchi di oro splendente come quello dei principi e dei re. Il trenino, il fumo, il sole, la luna, le stelline, sono elementi di un discorso metaforico e fantastico, fatto per suscitare ingenua sorpresa e ancestrali paure. Ma il più felice, il più ''fertile'' di questi artisti campani ci sembra essere Gianni De Tora. Dopo il periodo di "Geometria e Ricerca'' in cui il suo lavoro tendeva ad una rigorosa analisi delle forme, alla fondazione di regole e schemi attraverso cui arrivare alla forma ''finale'', pura e astratta, si è liberato dai rigidi condizionamenti per arrivare ad una ''geometria organica'' - così potremmo chiamarla - passando per i quattro elementi ai natura - aria, fuoco, terra, acqua - passando per le forme ''originarie'' come il triangolo, l'uovo, passando per materiali «densi» come la canapa, la carta filtro, passando per la scrittura, insomma vivificando nella pittura - pittura i contenuti ''mentali'' che nella logica e nei segni geometrici avevano trovato la loro forma ideale. |
ARTICOLO DI GINO GRASSI SUL QUOTIDIANO ''NAPOLI OGGI'' DEL 14 LUGLIO 1983 |
De Tora è un arrivato ma c'è anche Tagliafierro Cinque pittori campani espongono alla galleria «A come arte» in una mostra curata da quell' intelligente critico che è Vincenzo Perna. Questi artisti rispondono ai nomi di Gianni De Tora (pittore che ha conquistato una propria dimensione nazionale), Peppe Ferraro, Gloria Pastore, Antonello Tagliafierro, Sergio Vecchio. De Tora continua la propria operazione analitica nella piena riconsiderazione dei valori pittorico-plastici; Ferraro si dimostra un sensibile tonalista all'interno di un'indagine sui modi del vivere extra-urbano; Gloria Pastore prosegue in un racconto intimistico; Tagliafierro mi pare un artista che sa cogliere i motivi di fondo del fare pittura oggi, sia sotto il pro- filo del gesto e del ritmo, che sotto quello della luce; Vecchio è un artista di indubbia classe che adopera il segno come punto di riferimento per una stringata ricognizione memoriale. |
TESTO DI VINCENZO PERNA SUL PIEGHEVOLE-CATALOGO DELLA MOSTRA |
Exempla campana, ovvero pittura come? A fronte di cesure nette e arbitrarie - compiute spesso con l'acquiescenza, ed anche con il contributo di enti locali - che un sedicente oligopolio culturale fornisce da qualche stagione in qua, questa mostra intende porre in luce, sia pure non esaustivamente, ma « per exempla » - l'attuale stato della pittura in Campania. Troppe ambiguità sul piano dell'operatività estetica, costruzioni teoriche artificiose e più o meno palesi interessi di mercato hanno caratterizzato il conclamato « ritorno alla pittura », dando vita a quel « neo-arcadismo pittorico» di cui piu volte ho parlato, e ad una sorta di ariosa chiusura alla realtà e alla qualità della ricerca visiva. Posizione, questa, assunta stranamente ma non tanto (e comunque non per ironia del destino!) proprio da coloro che avevano constatato la « morte » della pittura. È che questa specie di oligopolio culturale continua e insiste nella direzione del partito unico, volutamente ignorando la diversità delle esperienze, con le quali davvero sarebbe più serio e onesto misurarsi. E inoltre si orna di lussuosi cataloghi e allestimenti faraonici, proprio per gettare polvere negli occhi e coprire cosi le debolezze intrinseche di elaborazione teorica e di costruzione. La Campania particolarmente è stata oggetto di veloci incursioni e di tentativi coloniali, che hanno strappato o isolato taluni fenomeni da un contesto che dalla metà degli anni sessanta, e attraverso tutto il decennio successivo, e questi anni piu recenti si è sviluppato secondo una pluralità di linee di ricerca davvero interessanti, a volte di estremo rigore, e peraltro non sempre ben conosciuta al di fuori dei confini geografici. Né si dimentichi che determinate ipotesi di animazione d'arte, specialmente gli interventi sul territorio, hanno ottenuto proprio in questo contesto – fra Napoli, Salerno e Caserta – approfondimenti anche sul piano del metodo del tutto originali, accolti con grande interesse in Jugoslavia e in Austria. Ora viviamo una stagione - già annunciata sul finire degli anni settanta mediante la ricomparsa del disegno e del colore (ricordo la mostra « Paesaggio di paesaggi/momenti di una geografia manuale» a cura di Gualdoni, tenutasi nell'aprile 1980 a S. Maria C. V.) - molto ricca di fermenti tra richieste e offerte di cultura visiva, forse ancora confusa specie per chi ama parlare di « catastrofe» sulla scia di un filosofo francese e propugna la « confusione organizzata », Ma è anche una stagione che fortunatamente sta prendendo coscienza di rischi e periodi immani per una umanita giunta al limitare del baratro: i disastri ecologici, l'inquinamento, il deserto che avanza, le modificazioni ambientali, la successione delle crisi che investono gli assetti socio-politici, la minaccia atomica sollecitano comportamenti diversi, sia collettivi che individuali. E l'artista non può rimanere estraneo a questo nuovo panorama, non può che ricercare e assumere un ruolo di presenza diversa dallo sperimentalismo di laboratorio usando meccanismi di approccio linguistico di piu immediata lettura, non solo, e pure contribuendo attivamente ad allargare gli squarci di riflessione sulla condizione umana, sull'originale aggrovigliato impasto di cultura e sentimenti che è proprio dell'uomo. Gianni De Tora - dopo un lungo periodo volto all'analisi delle strutture, dell'immagini geometrica (quadrati, triangoli, diagonali, cerchi) ma anche del mitico, simbolico « ovo », dell'addensarsi e della scansione dello spettro cromatico, dopo questa insistita frequentazione di elementi primari - riconverte gli strumenti iconici nella direzione della pienezza della pittura. De Tora ha più volte detto: « Non cercare in una superficie bianca quello che non troverai, ma guarda il suo immenso candore ». Da questa volontà precisa di analisi, apertamente dichiarata, coerentemente praticata egli prende ora le mosse per ricostruire sulla tela - non piu superficie, ma luogo della pittura - un sottile gioco di rimandi tra le forme, che vicendevolmente attestano la loro realtà, appunto tra la geometria che si riconferma come remota e attuale problema (dubbio e certezza) di dimensione dell'uomo e delle cose, e l'idea, simbolo, cioè l'uovo, ontologico principio di vita e di mutazione. Logica e intuizione comunque restano i capisaldi del pensiero umano, il tessuto connettivo di questi lavori, al di là di ogni tentazione lirica che pure non è del tutto estranea alle ragioni intime del fare e dell'interrogarsi sulla realtà. Peppe Ferraro - più che a suggestioni chagalliane, oniriche e nostalgiche - si riferisce ad uno spaccato di realtà contadina, rivissuta dialetticamente attraverso il recupero di una attività agricola quale la canapicoltura di Marcianise, fasi di lavoro, attrezzi, termini dialettali, ritmi di vita, e quindi proiettata in una dimensione che è metastorica e metafisica. La ricerca antropologica, fondata sulla memoria individuale e collettiva, offre materiali ad una pittura che ricontestualizza diverse stagioni annuali, il sole e la luna, il giorno e la notte con le loro tramutazioni che sanno di magia e accendono lo stupore dell'uomo. Una pittura che sembra aver avvertito l'esigenza, anzi l'urgenza di ritrovarsi « en plein air ». Gloria Pastore indaga quella sfera privata, intima che non dimentica né esclude gli accadimenti circostanti: lettere, paesaggi, cartoline, carte da gioco, fotografie ingiallite confluiscono sulla tela in maniera ostentata per formare pagine di un archivio dolente, ma rivisitate con attenzione non certo ironica, né compiaciuta, bensì distaccata. Da ciò la sezionatura, la serialità, la dislocazione ordinata, il collegamento fra immagine e scrittura degli elementi considerati, si che al di là del racconto e del momento nostalgico Gloria Pastore denuncia chiaramente il suo interesse invece per un catalogo di situazioni individuali radicate in un contesto sociale preciso, perché appunto attraverso tali dimensioni minime sia possibile comprendere la realtà vissuta. Antonello Tagliafierro -abbandonate le decodificazioni della scrittura verso la pittura - della pittura in sé, quale magma vibrante, espone il dinamismo a grandi campiture: la scrittura diventata ormai pretesto, rimane forse come nervo, o come rapidissima striatura, fusa e confusa nel veloce contatto con l'impasto di luci della città metropolitana. Non si tratta di un discorso alla Dorazio, attento alle tecniche e alle ambiguità della percezione visiva, e perciò calibrato nei rapporti cromatici, bensì di una esplicazione gestuale ampia, molto ampia, (felice e disperata insieme) che vuole racchiudere il fantasmagorico paesaggio urbano di oggi. Sergio Vecchio recupera sulla pietra la vicinanza dell'archeologia mediante il riporto di immagini tratte da affreschi di Paestum. Al di là dell'innamoramento per la classicità Sergio Vecchio riconsidera le memorie dell'infanzia e la specificità di un patrimonio culturale: sia sia questo che quelle talvolta ingombranti, ma in fondo necessariamente presenti in quanto « humus ", in quanto origine, ma pure da esorcizzare e da demistificare quali frammenti in sé in modo da ricostituire una piattaforma piu ampia: per vivere, ciascuno, con la propria memoria nell'ansiosa e cosciente ricerca di ritrovarsi in un presente probabilmente troppo asettico e spersonalizzante. Sia chiaro: non si tratta di una mostra esaustiva, però rappresentativa e sintomatica dei modi di far pittura in Campania, in sintonia con il generale (e a volte confuso) ritorno dall'opera d'arte; un ritorno che non si pone in termini di abiura nelle neo-avanguardie bensì in direzione di diversi ampliamenti linguistici - con l'acquisizione e la rielaborazione di materiali e metodi che derivano dalle esperienze degli ultimi due decenni di operatività estetica anche sul territorio e nel sociale - per una reale presenza funzionale dell'arte nel mondo contemporaneo. |
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